IRVIN YALOM, Il problema Spinoza

 

Irvin Yalom, Il problema Spinoza, Milano, Neri Pozza, 2012

Recensione di Fabiana Ianuale (Liceo Statale “Domenico Cirillo” di Aversa)

Il problema Spinoza è un romanzo filosofico a sfondo storico, scritto da Irvin David Yalom e pubblicato per la prima volta in America nel 2012. L’autore è nato in una famiglia di origine ebraica, si è laureato in medicina e per poi specializzarsi in psichiatria. 

Il libro è dedicato, come si evince dalla prima pagina, alla moglie Marilyn, anche lei scrittrice, morta lo scorso novembre ed è solo uno tra quelli a sfondo filosofico (quello di maggiore successo è E Nietzsche pianse, il cui titolo è successivamente stato ritradotto da Neri Pozza in Le lacrime di Nietzsche).

Nei suoi libri, i filosofi analizzati diventano personaggi di un romanzo e ci mostrano il potere salvifico assunto dalla filosofia che, applicata alla terapia, si rivela utilissima nel riorientare le esistenze smarrite. Tra le tante figure filosofiche di spicco Yalom è stato affascinato dalla tenacia di Spinoza, tanto da decidersi a visitare il museo Spinoza di Rijnsburg. Con gran sorpresa apprese che, dopo aver occupato l’Olanda, i nazisti furono molto più interessati a rubare i libri e gli oggetti di quel piccolo museo rispetto ai preziosi quadri del Rijksmuseum di Amsterdam. Inoltre, scoprì che l’ufficiale che aveva ordinato il saccheggio, agì per ordine di Alfred Rosenberg, che nel verbale dell’operazione fece riferimento a «opere giovanili preziose, di grande importanza per l’esplorazione del problema Spinoza». Lo psichiatra si interrogò a lungo su cosa rappresentasse il cosiddetto “problema Spinoza” per i nazisti e specialmente per Rosenberg, ed è proprio da questo grosso interrogativo che nasce il romanzo sulla vita interiore di Baruch Spinoza e parallelamente sulla psiche di Alfred Rosenberg per capire, nelle vesti del suo psichiatra Friedrich Pfister, cosa avesse spinto il nazista a coltivare l’ossessione per la biblioteca del filosofo di Amsterdam.

I brevi capitoli, che si alternano, ci fanno viaggiare nell’Olanda del secondo Seicento attraverso le vicende del filosofo ebreo Baruch Spinoza e nel mondo tedesco del primo Novecento, con la storia di Alfred Rosenberg ideologo del Partito nazista, fedele compagno di Adolf Hitler e condannato a morte per crimini contro l'umanità. Le pagine in cui Yalom descrive Alfred Rosenberg impressionano non solo per la straordinaria capacità dell’autore di penetrare, servendosi della penna come fosse un bisturi, la psiche contorta del soggetto analizzato, ma anche per il ritratto che delinea l’epoca storica in cui venne coltivato il radicale odio razziale.

Il romanzo inizia con l’incontro di Baruch Spinoza e i due giovani Jacob e Franco, che dicendo di aver smarrito la fede, cercano di ricavare informazioni per incastrare Spinoza già sorvegliato, per i suoi modi poco ortodossi, dalla comunità ebraica. Parallelamente è descritto Alfred Rosenberg, uno studente del liceo di Reval, costretto da Preside Epstein, dopo aver pronunciato in classe un discorso antisemita, a ricordare a memoria alcuni passi di un’opera di Goethe, grande poeta tedesco, nella quale era possibile leggere parole di encomio per Baruch Spinoza. Questo arduo compito genera nel giovane Rosenberg uno straziante interrogativo che si insinua nella sua mente contorta: «com’è possibile che un individuo appartenente ad una razza inferiore sia capace di elaborare un pensiero così geniale?»

Rosenberg è cresciuto come un uomo ossessionato da pregiudizi antisemiti e per tutta la vita ha ricercato l’approvazione e la stima degli altri e in particolare di Hitler. Quest’ultimo, però, lo ha sempre eclissato con il suo degenerato carisma, manifestandogli inizialmente una simpatia superficiale e in seguito disprezzandolo pubblicamente. Alla base della sua nevrosi si nascondono molti turbamenti psichici tra cui il timore inespresso di avere un antenato ebreo, ma Alfred, nonostante ciò, si sente superiore rispetto a coloro che lo circondavano. Come spiega Friedrich «Ci sono molte persone che trovano intollerabile questo senso di inferiorità e lo compensano sviluppando un complesso di superiorità, che è semplicemente l’altra faccia della stessa medaglia».

Attraverso un salto temporale si è traportati nel secondo Seicento, precisamente nel momento in Baruch Spinoza subisce, all’età di 23 anni, il cherem (la scomunica permanente dalla comunità ebraica di Amsterdam). Spinoza, infatti, era stato da sempre ostile alle ideologie e alle credenze superstiziose della tradizione ebraica, crede fermamente, come si evince da una lettura acritica della Torah, che tutti i tipi di precetti religiosi, impediscano la visione delle verità fondamentali. Il filosofo spera in un mondo privo di fanatismo, in una “religione della ragione” e crede che «l’ignoranza e le credenze superstiziose si diffondano come incendi inestinguibili e le autorità religiose alimentano il fuoco per rendere più solide le loro posizioni». Il suo professore, Franciscus van den Enden, condivide le sue idee e conclude: «Può cercare in tutto il mondo, ma non troverà una sola comunità che non sia superstiziosa. Fino a quando ci sarà l’ignoranza, ci sarà la devozione per la superstizione. Dissipare l’ignoranza è l’unica soluzione».

La scomunica tanto desiderata dal filosofo era finalizzata a rimodellare la sua identità, per imparare a vivere senza un’appartenenza religiosa. Da quel momento Spinoza è finalmente libero dal giogo della tradizione e la sua la sua esistenza si basa sull’autosufficienza. Dopo la scomunica, il filosofo si rifugia nell’accademia del professore di latino e lettere classiche Franciscus van den Enden. L’autore narra dell’incontro di Spinoza con Clara Maria, la giovane figlia del professore, dalla quale è ammaliato non solo per le doti intellettuali ma anche per la grazia e per la delicatezza. Questo amore non corrisposto genererà un dissidio interiore per il controllo e il superamento delle passioni, che devono essere geometricamente comprese. 

Il romanzo si avvale di una costruzione letteraria molto persuasiva: due figure immaginarie affiancano e analizzano nel profondo Baruch Spinoza e Alfred Rosenberg, compiendo con loro un percorso introspettivo durante lo svolgimento della trama. Personaggi di pura invenzione inducono i protagonisti a svelare sentimenti e dolori passati.  Rosenberg è accompagnato da Friedrich Pfister, suo psichiatra e persona di fiducia, in quanto importante amico del fratello Eugen. Yalom nelle vesti di Friedrich mette in luce le sfaccettature più fragili della figura di Rosenberg, dovute soprattutto alla sua perenne paura dell’abbandono in seguito all’assenza delle figure genitoriali e di punti di riferimento stabili. Ciò fomenterà un attaccamento emotivamente morboso nei confronti di Adolf Hitler. Infatti Alfred, tormentato da ondate di ansia, paura e disprezzo di se stesso, è preda delle proprie emozioni. Contrariamente a Spinoza, la sua autostima è basata sull’amore della folla, che lo costringe a vivere perennemente in uno stato di perenne ricerca di punti di riferimento. Friedrich, riprendendo le parole di Spinoza, definirà la patologia di Alfred «autostima basata sul vuoto» spiegando che il filosofo insisteva, invece, sulla necessità di amare qualcosa di incorruttibile ed eterno, ossia Dio: «Chiunque ami veramente Dio non deve desiderare che Dio in cambio lo ami».  

Mentre per Baruch Spinoza la figura di riferimento è quella di Franco Benitez, l’ebreo portoghese che inizialmente cerca insieme a Jacob di ingannare Spinoza, ma dopo averlo conosciuto resta affascinato dalle idee del filosofo e, nonostante non abbandoni la comunità, cerca di abbattere dall’interno le convinzioni superstiziose della tradizione e il fondamentalismo.

Il romanzo, fortemente accattivante e di ampio respiro, si legge d’un fiato per tre ragioni: per la struttura narrativa estremamente coordinata e ingegnosa, per la piana ricostruzione del pensiero filosofico di Baruch Spinoza e per la capacità di architettare un mondo in cui si delineano e alternano realtà e finzione. In diverse pagine del libro sono riuscita a trovare risposte a domande che hanno spesso sfiorato la mia mente, riuscendo ad accarezzare con delicatezza argomenti che portano a riflettere ampiamente. Tra i passi che mi hanno particolarmente colpito c’è una citazione di Friedrich ad Alfred: «È solo un’intuizione, ma mi chiedo se tu potresti mai sentirti “a casa” da qualche parte, perché la casa non è un luogo, è una condizione della mente. Essere realmente a casa vuol dire sentirsi a casa nella propria pelle. E tu, Alfred, non credo che ti senta a casa nella tua. Forse non ti è mai accaduto. Forse hai cercato la tua casa nel posto sbagliato per tutta la vita».