V. LINGIARDI, Mindscapes. Psiche nel paesaggio

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Vittorio Lingiardi, Mindscapes. Psiche nel paesaggio, Milano, Raffaello Cortina, 2017

 Recensione di Salvatore Grandone

Il volume di Vittorio Lingiardi, professore ordinario di psicologia dinamica alla Sapienza nonché psicoanalista e psichiatra, è un testo rizomatico, che spazia dalla psicoanalisi alla neuroestetica, dalla letteratura alla storia dell’arte. Il filo conduttore che attraversa le pagine è la relazione psiche-paesaggio, intesa in senso duplice. Da una parte l’autore indaga la psiche nel paesaggio, il modo in cui la psiche proietta nel paesaggio stati affettivi, valoriali e culturali, dall’altra si sofferma sui paesaggi nella psiche, vale a dire su come i paesaggi costituiscano la nostra mente e ne determinino l’evoluzione. I due aspetti sono inoltre colti nel loro intreccio, perché non si può abitare un paesaggio, farlo proprio sul piano emotivo, se esso non entra in risonanza con i luoghi della psiche che costruiscono la nostra persona. Il saggio non riduce quindi il tema psiche-paesaggio a una Gestalt statica – come spesso accade in molti testi dedicati a questo argomento –, in cui i due poli sarebbero rappresentabili alternativamente come figura o come sfondo; l’autore coglie piuttosto il dinamismo di tale relazione e la approfondisce sul piano genetico-evolutivo. Seguendo alcuni linee di riflessione tracciate da Barthes e Deleuze, Lingiardi analizza due luoghi primordiali della psiche: i volti della madre e del padre, che rinviano agli archetipi paesaggistici del mare e della montagna.

«Anche se abbiamo tutti conosciuto madri glaciali e padri mediterranei – osserva Lingiardi –, molti pensano alla montagna come a un luogo “paterno” e al mare come un luogo “materno”. Maschile verticale e femminile orizzontale, ascensioni spirituali e immersioni amniotiche. Tuttavia, come tutti i binarismi, anche questo è riduttivo e potenzialmente rischioso, ancorato a stereotipi che rendono geografico il genere e morale la postura» (p. 156).

I volti parentali rappresentano – ma non bisogna cadere nelle attribuzioni semplicistiche di genere o nei facili determinismi – due paesaggi prototipici, che influenzano il percorso di crescita dell’individuo, le sue conquiste, fratture e peripezie. Del resto sono molti i luoghi che popolano la psiche, e l’autore adotta quale massima della propria ricerca la frase del psicoanalista Pontalis «ci vogliono parecchi luoghi dentro di sé per avere qualche speranza di essere se stessi» (J.-B. Pontalis, L’amore degli inizi, Roma, 1986, p. 57). Tra questi luoghi vi sono relazioni orizzontali o gerarchiche, ma anche ibridazioni e condensazioni. Le possibili alchimie psiche-paesaggio sono così simili ai meccanismi del sogno, e sono in grado perfino di fornire una nuova chiave d’accesso al mondo onirico:

«Sognare è un’attività inevitabile, come pensare. Immaginate quante risposte troveremmo, per altrettante funzioni, se dovessimo rispondere alla domanda “perché pensiamo”? E perché separare l’attività del pensiero da quella del sogno? Perché non considerare gli aspetti pensanti del sogno e quelli sognanti del pensiero?» (V. Lingiardi, Mindscapes, cit., p. 150).

La relazione dinamica psiche-paesaggio assume allora anche una portata epistemologica, perché invita a un ripensamento delle attività psichiche e delle loro funzioni. Le ricadute del volume di Lingiardi sul versante psicoanalitico sono molte – e d’altra parte non dimentichiamo che la ricerca dell’autore percorre gli orientamenti più recenti della psicoanalisi –, ma, dato il carattere inter-trans-disciplinare del testo, si estendono ben oltre l’ambito specialistico. Tra le possibili piste, il testo sembra offrire vari elementi per indagare in una prospettiva diversa le strutture antropologiche dell’immaginario. In un lavoro ormai classico di Gilbert Durand, Le strutture antropologiche dell’immaginario (1960), le direzioni dell’immaginario – i suoi regimi diurno, notturno e ritmico – sono incarnate nell’a priori del corpo, interpretato come luogo di una “fantastica trascendentale”. Ora, alla luce del chiasma psiche-paesaggio messo in luce da Lingiardi, bisognerebbe chiedersi se non sia necessario pensare anche la relazione corpo-immaginario in senso biunivoco. Infatti se il corpo è la struttura che fornisce gli assi di sviluppo dell’immaginario, l’immaginario abita a sua volto il corpo costituendone una topografia di luoghi affettivi e onirici che lo predispongono a un certo modo di venire incontro all’esperienza. Una delle lezioni di Mindscapes potrebbe allora essere di tenere insieme, senza sovrapporre, corpo e immaginario: non solo il corpo nell’immaginario, ma anche l’immaginario nel corpo. In questo modo, l'a priori del corpo sarebbe sostituito dall'a priori della relazione corpo-immaginario, un rapporto che non si lascierebbe racchiudere in schemi lineari, e in cui l'approccio genetico, invece di cadere nel mito dell'origine (il corpo prima dell'immaginario o l'immaginario prima del corpo), alimenterebbe una feconda oscillazione.