LUCIANO BOSSINA, Lo scrittoio di Gozzano. Da Omero a Nietzsche

 

Luciano Bossina, Lo scrittoio di Gozzano. Da Omero a Nietzsche, Firenze, Olschki, 2017.

Recensione di Roberto Messore

Quando si inizia ad esplorare lo scrittoio di un poeta si teme sempre di violare un tempio sacro. Ci si addentra in punta di piedi in un luogo misterioso, con sguardo devoto ma anche incredulo e sospettoso.

Quale sarà la ragione di questo sospetto? È presente un riferimento allusivo e, se così, quale fonte prima è maneggiata dall’autore? Violare lo scrittoio di un poeta è un passe-partout di straordinarie avventure esotiche, la possibilità di immergersi in scenari imprevedibili che donano al testo una patina nuova.

 Rovistare tra gli appunti e le memorie ad inchiostro affastellati sul piano ligneo di uno scrittoio che trasuda  notti di ricerca insonni, respirare tra gli appunti e le glosse appuntate disordinatamente su svariate carte come a testimoniare il desiderio voluttuoso di registrare gli epifanici segnali che giungono dal mondo antico e moderno, scoprire una poesia debitrice e al contempo creditrice, rappresenta la delicata e preziosa impresa di Luciano Bossina, autore de Lo scrittoio di Guido Gozzano. Da Omero a Nietzsche. L’indagine parte dal quaderno noto come l’Albo dell’Officina (conservato al Centro studi Gozzano-Pavese, dell’Università di Torino), dove il poeta copiava tutto ciò che gli sarebbe potuto servire, soprattutto gli amati poeti francesi di fine secolo. Bossina lo interpreta, ne coglie suggerimenti e tracce segrete, introducendo il lettore in un topos inesplorato: scoprire che il genio poetico (o il progetto poetico, o entrambi!) si rivela miracolosamente e si oggettiva in uno scrittoio, semplice e dalle misure note in apparenza ma fornito di cassetti, scomparti segreti e pareti dal doppio fondo che solo uno scrupoloso osservatore potrebbe disvelare. Se piaceva credere che i poeti non avessero uno scrittoio, adesso il santuario è violato e «chi v’entra lo fa senza pudore».

 Il leitmotiv del testo – il rapporto di Gozzano con le fonti – è abilmente reso dall’autore che si muove tra indizi misteriosi e sospetti fiutati come sulla scena di un giallo narrativo: quando più sembra che tutti gli elementi convergano su una comune soluzione, ecco insospettabile un indizio che rimescola le carte e dà luce nuova alla pagina inchiostrata.

Da antichista, Bossina scopre ad esempio i veri tramiti dei ricchi materiali greci – e non solo – che entrano nella trama poetica: non sono mai i testi originali ma antologie moderne, perché «è questa – scrive – la classicità di Gozzano: tutta intermediazione. Anche le tracce che più sembrano portar lontano, approdano vicino».  

Così avviene, ad esempio, con il messaggio socratico di “imparare a morire” che Gozzano ricava non da fonti dirette ma dai lavori semplificati di Stapfer e Vanzon che offrono una mescolanza di testi socratici giustapponenti Platone, Senofonte e Plutarco; così ancora accade con il mondo greco che si scoprirà essere mediato da Heredia e da Siciliani. Tra i molteplici, però, campeggia l’esempio di Cocotte. Per dare luce al mistero che aleggia intorno alla Cocotte gozzaniana occorre entrare sulla scena del crimine filologico filtrata dalla lente investigativa di Bossina, perlustrare nel materiale d’officina, analizzare la stratificazione redazionale dei testi e le loro progressive varianti. Il procedimento filologico di Bossina, intuitivo prima, analitico poi, approda verso straordinarie e impensate coste, verso un itinerario alla ricerca di fonti insospettabili che donano al lettore gioia tutta nuova.

La Cocotte gozzaniana è Circe, la “fata” che maneggia “bevande affatturate”.  A offrire la risoluzione del giallo un movente e vari indizi. Il movente è l’inserzione nell’ultima redazione al testo di una strofa ex novo che introduce elementi fiabeschi:

«Pensavo a deità favoleggiate:/ i naviganti e l’Isole Felici…/ Co-co-tte…le fate intese a malefici/ Con cibi e con bevande affatturate…/ Fate saranno, chi sa quali fate,/ e in chi sa quali tenebrosi offici!».

Domandandosi a chi Gozzano pensi quando si abbandona al sogno, quando riflette su arcane divinità, alle Isole Felici, a fate intente a preparare bevande affatturate, la lente investigativa di Bossina rovista tra le carte sullo scrittoio e trova indizi nell’Ulisse de La nascita della tragedia di Nietzsche e nell’Odisseo delle Satire di Orazio, un antieroico borghese avido e fedifrago. Inevitabile l’associazione di Cocotte al mitico peregrinare dell’Odisseo omerico, al suo soggiorno presso la maga Circe, al suo avvicinarsi alla fatale isola descritta dallo stesso Dante. Si tratta, però, di un Ulisse più nietzschiano e meno dantesco, come si legge già ne L’ipotesi: «Un bel deplorevole esempio/ d’infedeltà maritale,/ che visse a bordo d’un yacht/  toccando tra liete brigate/ le spiagge più frequentate/ dalle famose cocottes…». Sono argomentazioni non solo persuasive ma anche difficilmente confutabili in quanto cementate da un costante sostegno filologico. 

Manca ancora il tassello dell’aspetto sonoro che assimili Circe alla Co-co-tte scandita con insistenza ben due volte (V e VI strofe) nel testo di Gozzano. L’indizio? Stavolta il libro decimo dell’Odissea (vv. 290-292), in cui i compagni di Odisseo cadono nelle malìe della maga, che con una pozione d’erbe maligne li trasforma in maiali, per cui Ermes redarguirà l’eroe omerico: «Preparerà per te una bevanda affatturata (in greco kukèo)». Ecco la risoluzione del giallo: da kukèo = cocotte. Nomen omen. «Cocotte è una fata che ha nel nome il succo d’erba». A questa scoperta il lettore giunge solo dopo un lungo percorso che lo ha portato a scoprire ogni possibile traccia interpretativa dell’intera poesia, dal primo suo stato embrionale fino alle ultime rivisitazioni.

Il puntuale lavoro di Bossina aiuta, dunque, a comprendere la complessa officina gozzaniana, mentre rassetta tra le carte dello scrittoio del poeta col trasporto letterario di un viaggiatore sognante che mai rinuncia, però, al rigore scientifico della filologia.