MANUELE DE CONTI, "Come difendersi dalle Pseudoscienze"

 

Manuele De Conti, Come difendersi dalle pseudoscienze. Le fallacie argomentative del discorso pseudoscientifico, Monza-Brianza, Limina Mentis, 2013

Recensione di Pasquale Vitale

Il testo di Manuele De Conti “Come difendersi dalle pseudoiscienze” mira a definire il ruolo epistemologico della filosofia nell’individuare le fallacie argomentative del discorso pseudoscientifico (pseudo deriva dal greco ed è affine a pseudés, ossia menzogna, a pseudésthai, mentire, e a pseudéin ingannare). In parole più semplici, l’autore chiarisce quali strumenti logici la filosofia fornisca per non essere ingannati dalle proprie credenze, per non cadere nella trappola degli altrui inganni, individuando ciò che è falso o ciò che a malapena in un discorso regge. Conoscere le fallacie, saperle individuare serve ad evitare che le discussioni possano essere sterili e acritiche. Se la linguistica ci offre le regole per il corretto uso della lingua, la logica e la filosofia del linguaggio ci dotano, dunque, dei criteri per ben argomentare e smascherare l’impianto mistificatorio delle pseudoscienze stesse. Individuare le fallacie nei discorsi altrui dà luogo ad un approccio critico nel senso kantiano del termine, in quanto si soppesa ciò che nel discorso degli altri non va, non funziona o è sbagliato. L’inversione dell’onere della prova, l’appello alla falsa autorità, l’attacco  alla credibilità degli esponenti avversari e l’appello alla paura sono solo alcune delle fallacie più frequenti nel discorsi quotidiani. La fallace inversione dell’onere della prova consiste in quella strategia scorretta, per cui l’interlocutore, al dubbio avanzato verso la sua asserzione, risponde chiedendo a chi pone il dubbio di provare il contrario. A un nostro dubbio circa l’esistenza dello Yeti, colui che asserisce potrebbe dimostrare l’esistenza di tale animale chiedendoci di fornire una prova della sua non esistenza. Per rispondere a questa fallacia dobbiamo riversare nuovamente l’onere su chi pretende di invertirlo e mostrare che la nostra posizione è stata travisata, incalzando l’interlocutore a fornire le prove di quanto sostiene e a non dare per acquisita l’esistenza dei fenomeni contestati.  Un’ altra fallacia consiste nell’appello improprio all’autorità, in virtù della quale il richiamo all’ autorità di un esperto è addotta come prova della verità di una data proposizione. Per questo tipo di argomenti bisogna chiedersi se l’autorità citata sia effettivamente competente e, anche qualora risultasse idonea, sarebbe opportuno riflettere se essa sia competente nell’ambito disciplinare sul quale si esprime. Inoltre bisogna sempre verificare che l’esperto citato abbia presentato le prove su cui si basa la propria posizione. Nel caso in cui non ci fossero prove, o l’autorità non riuscisse a difenderle, allora il suo appello dovrebbe essere ritirato. L’impiego fallace di tale argomento avverrebbe quando l’autorità è  impiegata per forzare la discussione critica a una prematura chiusura, dando vita a quella che Locke definiva fallacia  ad verecundiam , ovvero a un appello dogmatico all’autorità (che X sia vero lo dice anche A, quindi X è vero). La fallacia ad ignorantiam, invece, consiste nel ritenere valida una teoria solo in quanto non è stata provata falsa, o viceversa falsa solo perché non è stata provata vera (Nessuno ha mai provato che x sia falso o vero, quindi x è vero). Secondo questo modo fallace di ragionare i Protocolli dei savi di Sion, documento che per alcuni comproverebbe il mito del complotto ebraico, può essere considerato autentico per l’assenza delle prove della sua falsità: se c’è una prova della falsità, allora il testo è un falso, ma la prova non c’è, dunque il testo è autentico. In realtà, un’attenta analisi filologica ha dimostrato che il testo è un falso e dunque il fatto che un’affermazione non sia stata provata falsa, non significa che sia vera e viceversa.  Bisogna, quindi, sempre valutare se la posizione sostenuta sia in sé contraddittoria, se riesca a spiegare completamente il fenomeno che pretende di spiegare e se c’è qualche test per determinarne la verità o la falsità. Un altro errore di ragionamento molto frequente consiste nella Petitio principii, che si presenta quando  gli interlocutori sono in disaccordo su un enunciato, e si risponde dando come provato quando è invece da dimostrare (Non siamo affatto sicuri che B sia falso, non siamo nemmeno sicuri che A sia vero, quindi B è vero). Per rispondere a tale fallacia bisogna far dichiarare l’errore commesso dall’interlocutore  e richiedere i dati o le prove a sostegno della premessa in discussione. La mancata precisione terminologica è una delle caratteristiche delle pseudoscienze e così l’utilizzo di uno stile linguistico incerto e ermetico dà origine alla fallacia di oscurità (A viene presentato con l’intenzione di suscitare paura, quindi B è vero). L’utilizzo di concetti oscuri, come quello di “energia psichica”, all’interno di una discussione conduce, infatti, facilmente a ragionamenti confusi, a fraintendimenti , o alla Petitio principii. L’autore si sofferma poi sull’argomento ad hominem, su quello ad metum e ad popolum. Il primo, la cui individuazione è fatta risalire all’ Aristotele de Le confutazioni sofistiche, riguarda l’attacco alla credibilità della parte avversaria, mettendone in dubbio l’attendibilità, la competenza e l’imparzialità (A afferma la tesi x, si getta discredito sul contesto cui appartiene A, quindi la tesi di A è falsa). Un esempio dell’uso di tale argomento lo si ritrova nel tentativo togliere valore al Diario di Anna Frank da parte di alcuni negazionisti dell’Olocausto, affermando che l’autrice si drogasse e che fosse libertina. A proposito dell’argomento ad hominem, l’autore sottolinea che  sia necessario distinguere tra debolezza di un argomento e il suo carattere fallace. Contestare con prove la competenza di un esperto è un argomento ad hominem corretto, ma quando quest’ultimo ha come fine l’attacco alla credibilità dell’interlocutore, allora si tratta di una violazione delle regole della discussione critica. Il secondo fa appello alla paura e consiste nell’evocare un evento terrificante per far accettare all’interlocutore la propria opinione (se compi P allora accadrà Q; l’evento o il fatto Q è davvero terribile; pertanto non compiere P). Il problema connesso all’impiego di questo argomento è che scatenare la paura induce il destinatario a saltare istintivamente alle conclusioni invece di prestare attenzione alle variabili coinvolte in una decisione,  in quanto “ la paura annebbia, compromettendo lucidità mentale e comportamento razionale. Il terzo argomento (ad popolum), invece, prevede che si consideri un’affermazione come vera o accettabile poiché tutti, o molti, la ritengono tale. L’appello all’opinione popolare presenta diverse varianti: l’appello all’opinione della folla, in cui l’oratore, sfruttando le dinamiche del gruppo, ne dirige le emozioni, invocandone le credenze, i pregiudizi, le passioni (siamo tutti italiani e quindi dobbiamo tifare per la nostra nazionale), l’appello alla deliberazione informata e quello alla posizione privilegiata. Come per ogni argomento, anche per l’appello all’opinione popolare è importante precisare le premesse e le conclusioni, verificare la veridicità delle prime e controllare se sostengono in modo plausibile la conclusione. Il testo di De Conti invita, con chiarezza e concisione,  a non modellare acriticamente le nostre credenze su questi appelli e di acquisire tutte le abilità necessarie per respingere gli argomenti senza fondamento e a mantenere entro i binari della discussione critica il non semplice confronto con i sostenitori delle pseudoscienze, in quanto come afferma Aristotele nelle Confutazioni sofistiche “Che veramente alcune argomentazioni siano sillogismi e altre sembrino essere tali senza esserlo è manifesto, giacché, come questo avviene per le altre cose in virtù di una certa somiglianza, così avviene anche per le argomentazioni. Infatti certuni sono in buona condizione fisica mentre altri sembrano esserlo perché si agghindano e sono impettiti come offerte tribali; alcuni sono belli per la bellezza, altri sembrano belli perché si truccano. E lo stesso vale per le cose inanimate, giacché alcune di queste sono veramente d’argento e alcune d’oro, mentre altre non lo sono, ma lo sembrano alla percezione: per esempio le cose di litargio e quelle di stagno sembrano d’argento, quelle giallastre sembrano d’oro. Allo stesso modo anche le argomentazioni, qualcuna è veramente sillogismo e confutazione, qualche altra non lo è ma sembra esserlo a causa dell’inesperienza, giacché gli inesperti, come se ne fossero distanti, guardano le cose da lontano”.