GIULIANO GASPARRI, Le grand paradoxe de M. Descartes

Giuliano Gasparri, Le grand paradoxe de M. Descartes, Firenze, Olschki, 2007

 Recensione di Anita Santalucia

   Per la collana Subsidia − le corrispondenze letterarie, scientifiche ed erudite dal rinascimento all’età moderna − Giuliano Gasparri ha pubblicato il volume Le Grande paradoxe de M. Descartes, la teoria cartesiana delle verità eterne nell’Europa del XVII secolo. Nell’introduzione l’A. ringrazia Jean-Robert Armogathe e Marta Fattori per aver seguito la sua ricerca, che tratta di un tema così originale, come quello delle verità eterne, un argomento complesso e soprattutto molto presente nel corso della storia della filosofia. Tale complessità è stata opportunamente distribuita grazie alla ripartizione in capitoli che colloca la teorizzazione delle verità eterne in aree geografiche ben determinate.                     

     L’introduzione delinea le linee guida del problema delle verità eterne, i nodi teorici e soprattutto le radici da cui emerge: la tradizione teologica europea. Il saggio si pone, infatti, come un approfondimento e uno sviluppo di un articolo pubblicato da Gineviève Rodis-Lewis sulle problematiche del possibile e dell’impossibile nella scuola cartesiana[1]. L’articolo consisteva in uno studio sulla ricezione e sulla capacità di sviluppo della teoria cartesiana delle verità eterne nella prima metà del XVII secolo. Il lavoro di Gasparri prende proprio le mosse da questo. Lo studio sulle verità eterne inizia quando la teoria appare per la prima volta in alcune lettere di Cartesio del 1630. Si tratta di tre lettere che Descartes invia a Padre Marino Mersenne in cui teorizza il problema, tenendo presente le  implicazioni che esso comporta: i quesiti filosofici di stampo prettamente gnoseologico degli assiomi logico-matematici; i problemi teologici legati al rapporto tra il possibile e l’onnipotenza divina. A queste lettere seguono, negli anni successivi continue allusioni e riferimenti più o meno espliciti, sintomi di una teoria presente e ramificata in ogni pagina della sua filosofia. Inoltre, Gasparri, sulla scia dei grandi studiosi del pensiero cartesiano francese come G. Rodis-Lewis, F. Alquié, R. Lefèvre, J. L. Marion, ha portato a termine con successo un lavoro filologico, volto ad esplicitare i luoghi in cui tale teoria è proposta. Tale topologia non si presenta come un elenco fine a se stesso. Anzi, potrebbe essere definito un elenco produttivo, perché permette di entrare nella materia viva del tema senza tralasciare particolari luoghi tutt’altro che evidenti. Da qui a naturale scoperta della presenza della stessa nelle Meditazioni sulla filosofia prima, nelle Obiezioni e nelle Risposte alle stesse Meditazioni sulla filosofia prima e nelle lettere successive a 1640 che testimoniano la radicalità di questo tipo di verità nella teoresi del pensatore francese. Gasparri non solo riesce a discutere proficuamente di tale teoria in Descartes, ma è anche capace di portare alla ribalta autori coevi a Cartesio, i quali hanno sviluppato la teoria della verità eterne. In seguito l’A. passa a ricordare quanti hanno contribuito a tramandare tale teoria e gli echi che essa ha avuto nel corso del tempo soprattutto sulla questione teologica. Vanno perciò tenuti presenti i tentativi di ricostruire la posizione di Antonine Arnauld da parte di A.R. Ndiaye, D. Moreau, V. Carraud e gli studi sulla presenza di  tracce dell’agostinismo nelle verità eterne e nel Seicento in generale e quelli relativi a Malebranche. Ora proprio per tali ragioni la pregnanza speculativa e storica di questa teoria non poteva essere tralasciata. Inoltre, l’autore, soffermandosi su questa teoria, la definisce  paradossale. Tale paradossalità è visibile nei caratteri del pensiero cartesiano:  il pensatore francese attribuisce una carattere di dipendenza a tali verità. Si chiede Gasparri, ragionando sulle ipotesi cartesiane, se sono le verità eterne a dipendere da Dio oppure se è Dio a dipendere dalle verità eterne. Ma fino a che punto tale domanda non mette in crisi la libertà di Dio stesso e la sua lontananza da una qualsivoglia idea di circoscrizione e limitazione della sua natura? Evidentemente sono questi i quesiti che Gasparri tenta di risolvere in questo testo e lo fa attraverso un’analisi dello stesso concetto di verità eterne che di per sé è tutt’altro che assunto dagli interpreti in modo pacifico. Queste stesse verità che Descartes incontra per la prima volta nelle lettere del 1630 si rivelano, come abbiamo detto, essere fondamentali per tutto il discorso cartesiano. Verità eterne sono le idee della matematica e della geometria, la verità di Dio stesso, prima e più importante di tutte. Queste sono il marchio che l’artigiano-Dio ha impresso alle sue opere, gli uomini, come segno tangibile della sua presenza e della sua generazione. Se Dio ha posto tali verità eterne in questo modo, esse non potrebbero essere poste altrimenti perché solo la sua libera volontà può mutare le stesse. Egli potrebbe far sì, ad esempio, che due più due non faccia quattro, diversamente due più due fa e farà sempre quattro. Questo è il punto di partenza della sua ricerca. Da qui tutto il resto deriva.

     Il primo capitolo si occupa del dibattito sulle verità eterne così come è stato animato in Francia dal 1650 al 1679. Se, infatti, la questione matematica e geometrica intimamente connessa alla verità eterne occupa un posto rilevante, è la questione teologica a tenere banco nella seconda metà del seicento. Arnauld pone il problema della presenza di Cristo nell’Eucarestia ed in linee generali riprende questo tema dalle sue Obiezioni alle Meditazioni sulla Filosofia prima. Pierre Poiret riprende il tema nel 1677 con le Cogitationes rationales mentre Malebrache, Foucher e Desgabets alimentano il dibattito tra cartesiani e anticartesiani. Se da un lato si rivela proverbiale la netta opposizione di Malebrache alla teorizzazione delle verità eterne come concetti, ponendo l’accento sul significato che acquisisce il termine “necessità”, da un altro si manifesta come degno di interesse la posizione di Desgabets, strenuo difensore della teorizzazione cartesiana, riadendo l’assoluta dipendenza delle stesse da Dio.

     Seguono poi i capitoli dedicati alla trattazione del tema nel Paesi Bassi e in Inghilterra. Proprio nei Paesi Bassi è visibile la nascita e l’attività della prima generazione dei cosiddetti “cartesiani convinti”. Gasparri dedica paragrafi specifici all’attività di Lambert van Velthuysen, Arnold Geulincx, Melchior Leydekker oltre che gli studi poi condotti da Baruch Spinoza. Di quest’ultimo sono riportate anche le critiche di Frans Burman, autore del celebre Colloquio con Descartes.In Inghilterra la teoria su soprattutto oggetto di John Locke. Va considerato che  da giovane il filosofo inglese si interessò del tema dimostrando grande conoscenza degli scritti di Descartes. Nel testo viene anche proposta la critica che John Norris riserva sia a Descartes che a Locke appunto.

Segue un’analisi attenta delle polemiche che scaturirono dalla recezione in Francia del tema soprattutto nell’ultimo ventennio del secolo. Qui viene proposta una breve ma efficace analisi delle Observations sur la philosophie de Descartes di Du Vaucel, la critica di Bayle alle Cogitationes rationales di Pierre Poiret; la Censura di Huet e le polemiche introno ad essa e il Voyage du monde de M. Descartes di Gabriel Daniel. L’ultimo capitolo è dedicato quasi interamente a Leibniz e alla recezione del tema delle verità eterne nelle sue opere. Nel Discorso di metafisica, delle lettere e nei Saggi di Teodicea, il filosofo prussiano dimostra di conoscere bene la tradizione cartesiana e di inserirsi, con merito, nel dibattito.

     Rilevante e assolutamente utile sono le Appendici, poiché ricompongono e riordinano il lessico delle verità eterne così come compare nelle opere di René Descartes, nella seconda metà del XVII secolo ed infine, ultimo ma non meno importante nell’opera di Leibniz. L’intento dell’autore è quello di proporre un lavoro unico che abbia la funzione di sistematizzare un tema così ampio, come quello delle verità eterne, prima d’ora non ancora proposto. Infatti, qualcosa di simile non era mai stato oggetto di pubblicazione e la ricchezza di contenuti e di spunti del testo stesso confermano l’assoluta necessità che si aveva dello stesso. Ed è così che il lavoro di Gasparri risulta completo e soddisfacente ricco di spunti e chiarificatore di molte questioni. Il suo intento di sistemare la questione verità eterne può essere detto pienamente riuscito e il suo scopo di proporre un testo che approfondisse tale questione, raggiunto.



[1] G. RODIS-LEWIS, Polémiques sur la création des possibile set sur l’impossible dans l’école cartésienne, «Studia Cartesiana», 2, 1981, pp. 105-123.