LIVIO ROSSETTI, La filosofia non nasce con Talete e nemmeno con Socrate

 

Livio Rossetti, La filosofia non nasce con Talete e nemmeno con Socrate, Bologna, Diogene Multimedia, 2015

Recensione di Pasquale Vitale

Il libro di Livio Rossetti, fin dal titolo, invita a rivedere frequenti luoghi comuni storiografici in base ai quali la storia della filosofia comincerebbe con Talete e troverebbe  la sua massima espressione speculativa in Socrate.  Per quanto concerne Talete, nel primo volume dei Fragmente der Vorsokratiker, diventato successivamente Diels-Kranz, ci sono indizi di una ricerca orientata alla spiegazione delle piene del Nilo,  dei solstizi e degli equinozi, della durata dell’anno solare  e la lista potrebbe continuare a lungo. Dunque non è possibile accettare la semplificazione manualistica dell’acqua-archè, con cui si vuol individuare lo specimen della speculazione di Talete.  Neanche Gorgia e Melisso possono essere considerati gli iniziatori della filosofia; i due infatti sono accumunati dal titolo delle rispettive opere, ovvero Sulla natura o Sull’ essereSul non essere o Sulla natura e «portano avanti una serie di argomentazioni piane e serrate, senza passaggi oscuri come probabilmente non si era mai visto prima di allora» (p. 41). Nonostante ciò le loro sottili disquisizioni sull’essere, che tanta eco avranno in Hegel, Heidegger e Sartre, non riusciranno ad entrare nel linguaggio ordinario. Rosetti sottolinea come «la filosofia non è decollata con i quanto mai astrusi testi di Melisso e Gorgia (malgrado i meriti), bensì con le pagine di Platone che nascondono molte cose, ma hanno l’impagabile prezzo di sembrare alla nostra portata, di coltivare l’illusione che stiamo dialogando, nientemeno, con Socrate. Al confronto le magistrali opere di Melisso e Gorgia ti tengono a distanza, perché ti fanno sentire un pulcino nella stoppa» (p. 45).  Anche Parmenide sarebbe un filosofo da "defilosofizzare", infatti se si considera il capitolo 28 dei Presocratici (Diels-Kranz, ed. 1951), si scopre che la trattazione sull’essere, per quanto più lunga e meglio organizzata, si estende per un 10-15%, il restante 70-80% tratta, invece, di questioni inerenti alle cinque fasi climatiche, alle percezioni negative, alla presunta intelligenza degli animali, alla formazione dei primi uomini e via discorrendo. Anche nel caso di Socrate, come è attestato in Senofonte e in Platone, si parla di curiosità intellettuale, di avventure della mente, di paideia, di otium, ma per designare tali concetti è del tutto facoltativo l’utilizzo di parole del gruppo philosoph-. Ora è necessario precisare che tutti i filosofi menzionati, anche quando si sono occupati di questioni che in gergo si definiscono filosofiche, non l’hanno fatto pensando di star facendo filosofia. In questo senso, Rossetti si chiede  «quando e in che veste la parola "filosofia" è entrata in circolo? Come è potuto accadere che si cominciasse a parlare e scrivere di filosofia in Grecia? Per significare che cosa?». Dalla disamina delle occorrenze di philosophia, philosophein, philosophos, emerge che vi sono quasi 300 occorrenze nel Corpus Platonicum, 87 in Isocrate, 16 in Senofonte e 150 in Aristotele, a fronte di una decina di occorrenze nel periodo precedente. Il divario tra 450 occorrenze tra il 385 e i 345, e le dieci tra 430-420 e 385-380., è secondo Rossetti, un dato così emblematico da non dover essere nemmeno interpretato. Di fatto, tali dati dimostrerebbero che la filosofia è entrata in scena ad Atene, tra il 385-375, con Platone, in una lingua ben definita (il greco), con istituzioni ben definite (l’ Accademia). L’autore, poi, analizza meticolosamente i dialoghi platonici al fine di dimostrare che Platone ha avuto il grande merito di proporre la filosofia come un percorso attraente, in grado di nutrire la mente e far sognare-ragionando e amando, lasciando scorgere il mondo bello e incontaminato da cui proveniamo. Proprio quest’ultimo aspetto, senza precedenti, è costitutivo del processo di costruzione della filosofia. Del resto, a Gorgia e Melisso era mancata la virtù comunicativa, che non seppe essere contagiosa come quella platonica. Le conseguenze di tale ermeneutica sono importanti, perché non è più possibile parlare di presocratici, in quanto la loro fu un’avventura intellettuale che di filosofico ha avuto solo tratti involontari e inconsapevoli.  Chi ha deciso quindi che la filosofia abbia avuto inizio non con Platone, ma con Talete?  Dallo studio delle fonti emerge che nei Prolegomena anonimi alla filosofia di Platone (550 d.c), in Diogene Laerzio (200 d.c.) e così in Cicerone (50 d.c) emerge il dato secondo il quale la filosofia sarebbe nata prima di Platone, con una retrodatazione di due secoli, la stessa che ha permesso ad Aristotele di delineare una storia unificata della filosofia da Talete fino ai suoi giorni, che pare aver obliato il ruolo fondamentale rivestito da Platone.  Ergo, oltre al periodo 385-380, in cui Platone, con cognizione di causa, avrebbe cominciato a parlare di filosofia, dobbiamo considerare emblematico anche l’anno 350, in cui Aristotele, vivente Platone, rese filosofi un gruppo di antichi maestri. Del resto, in un mio testo, Letture e riletture aristoteliche dai cosiddetti pitagorici a Bergson (Monza-Brianza, Limina Mentis, 2013), in un capitolo dedicato ai pitagorici, sottolineavo come i  "pregiudizi" dello stagirita, per quanto teoreticamente importanti, inficiano la vera portata del pensiero pitagorico, in quanto tendono a ricostruirne un quadro lineare e coerente, che non ci è restituito, però, dalle fonti. Resta il fatto che la distorsione di cui sono stati vittime Parmenide, i Sofisti o Talete, dovrebbe indurci a chiederci quale sia il senso della filosofia e come esso stia venendo meno. Pierre Hadot in La filosofia come modo di vivere (tr. it. di Laura Cremonesi e Anna Chiara Peduzzi, Torino, Einaudi, 2008) ricorda come sia stato spinto verso la ricerca filosofica dalla constatazione che il discorso filosofico degli antichi non risponde ai criteri di ordine e di chiarezza che in Francia gli erano stati impartiti: «Aristotele e Agostino difettano nella composizione, i dialoghi platonici si contraddicono» (p.  IX). Il ruolo dei filosofi antichi non era quello di informare, ma persuadere, trasformare, produrre un effetto. Ecco, la filosofia non deve essere più prigioniera di stereotipi concettuali, dovrebbe riuscire nuovamente ad assumere il compito che Platone le ha assegnato: insegnare a morire che significa esercitarsi a vivere.  

 

Curiosità: domande all'autore

(a cura di Pasquale Vitale)

1) Professor Rossetti, alla luce delle tesi espresse nel suo testo, ritiene opportuno che i manuali in adozione nei licei ripensino la trattazione di quella che lei definisce la preistoria della filosofia ovvero quella che in gergo è definita filosofia presocratica?

R.  Ma sì, parlare di preistoria sarebbe più corretto, sarebbe un chiamare le cose con il loro nome.

2) Nel suo testo non risparmia delle critiche alla cosiddetta filosofia accademica, quali aspetti negativi e controproducenti ravvisa in essa?

R. La filosofia accademica mi lascia perplesso quando insiste nel parlare dei filosofi e della filosofia presocratica pur sapendo che la nozione di filosofia si è affermata solo quando la stagione dei presocratici si era ormai conclusa.

3)   Il suo approccio ermeneutico alla filosofia antica, sorvegliato da attente disamine filologiche,  mette in discussione taluni luoghi comuni storiografici. Per motivi diversi Michel Onfray, forse meno attento al dato filologico, adotta una prospettiva in cui si mettono da parte Platone e Aristotele, per elaborare una contro-storia della filosofia che ha il suo centro in pensatori materialisti come Democrito e Epicuro. Che cosa ne pensa?

R. Beh, io mi sono limitato a constatare che le cose stanno in un certo modo e non in un altro, e che molti interrogativi attendono ancora una risposta. Onfray ha ben altre pretese.