A. BOELLA - A. GALLI, "L'Artificio Supremo - Alchimia e palingenesi nei tre regni della natura"

Alessandro Boella e Antonella Galli, L'Artificio Supremo - Alchimia e palingenesi nei tre regni della natura, La Lepre edizioni, 2013

Recensione di Michele Di Gennaro

Vivo morte refecta mea: il motto di Gabriele Aresio apre la nuova fatica di Alessandro Boella e Antonella Galli, primo saggio in lingua italiana sul tema della palingenesi come téchne, come prassi operativa. Stranamente schivata dagli studi di settore, la palingenesi qui riemerge come una delle ossessioni del pensiero occidentale, allettante chimera e seducente anteprima d'eternità. Ma la πάλιν γένεσις di Boella e Galli non è l'afflato escatologico dei Vangeli o l'ἐκπύρωσις degli stoici. I due studiosi, infatti, aggirano le implicazioni filosofico-religiose del soggetto concentrandosi sugli esperimenti palingenetici nei tre regni della natura, dal rinascimento alla contemporaneità. La palingenesi nei regni della natura a cui è dedicato il libro assume dunque valenze meramente laboratoriali, declinandosi nella sperimentazione di rinascite programmate a partire dalle cenere di un vivente o anche di un minerale.Questa palingenesi “da manuale” ha per simbolola fenice, l'uccello di Heliopolis che risorge dalla medesima cenere prodotta dalla propria decomposizione. Il suo motto è post fata resurgo, ovvero la vittoria definitiva sulla morte. L'analisi di Boella e Galli attraversa le curiose tecnosofie palingenetiche in auge sin dal medioevo, intrise di simboli e richiami ermetici e formulate in un linguaggio poeticamente settoriale. Da Paracelso a Hannemann, da Kicher a Robert Boyle, la palingenesi da fucina alchemica ha le sue istruzioni e i suoi accorgimenti per eseguire in modo impeccabile le procedure, pena il disincanto del fallimento. Inoltre, qualificandosi come scienza sacra, si ispira ai vetusti principi del Corpus Hermeticum, Bibbia di alchimisti e filosofi rinascimentali. Esperimenti e istruzioni aprono le porte a piccoli mirabilia da laboratorio, fornendo testimonianze concrete dell'eternità che ci attende, del novus habitus promesso dai Vangeli. Se le piante sono in grado di  «serbare la propria forma individuale e la capacità della propria essenza di resuscitare e rivivere» (p. 53), allora perchè non l'uomo? Se dalle piante incenerite si può ottenere una perfetta immagine del vegetale che fu, in vitro, dunque la resurrezione è inscritta negli organismi stessi, che conservano quel nucleo fisso tale da consentirne il rinnovamento. L'uomo appunto. Boella e Galli riconoscono ne Il Tempio dell'Uomo di René Adolphe Schwaller de Lubicz l'opera contemporanea più esaustiva sul tema della palingenesi umana, che si concentra attorno alla funzione del sale quale agente di rigenerazione e scrigno del patrimonio storico della coscienza. Proprio con l'ermetista francese, presunto allievo di Fulcanelli, emerge l'afflato iniziatico della trasformazione volontaria, il richiamo a quelle operazioni che «non possono essere compiute se non da e per lo stesso individuo che ha subito durante la sua vita una profonda modificazione nell'essere» (p. 107). Nell'ultimo capitolo gli autori si abbeverano da fonti letterarie autorevoli, chiamando in causa nomi celebri lambiti dalla suggestione palingenetica. Dall'Enciclopedie a Borges, da Yeats a Lovecraft, la palingenesi è fonte di ispirazione e materia di racconti, dove non di rado si nascondono vere e proprie istruzioni operative. Operative, perchè l'attività del philosophus alchimista mira ad una trasformazione viscerale e profonda dell'essere, piuttosto che ad una speculazione teoretica. La materia, proprio la materia grossolana, diviene così scrigno di quel mysterium che è l'essere dietro il divenire, la  nuda essenza dietro le molteplici immagini del transeunte.