MASSIMO BLANCO, Edipo non deve nascere. Lettura delle Poésies di Mallarmé

 

Massimo Blanco, Edipo non deve nascere. Lettura delle Poésies di Mallarmé, Firenze, Olschki, 2016.

Recensione di Salvatore Grandone

 

Il testo offre una lettura ampia e originale dell’opera poetica di Mallarmé. L’autore prende le distanze e allo stesso si riappropria della lezione di tre grandi interpreti di Mallarmé: Gardner Davies, Charles Mauron e Bertrand Marchal. Il primo comprende l’opera mallarméana alla luce del “dramma solare”, della polarità giorno-notte, luce-ombra, in cui l’elemento solare rappresenta la fase creativa mentre «la notte è l’emblema dello stallo intellettuale» (p. VIII). Charles Mauron propone invece un approccio psicocritico che interpreta le produzione di Mallarmé attraverso gli eventi che segnarono la vita del poeta (p. X). Bertrand Marchal vede infine in Mallarmé una «sorta di Cartesio preoccupato della visione umana del mondo in rapporto a delle verità possibili» (p. IX) e mette quindi in secondo piano l’elemento affettivo e biografico. Sintetizzando e superando i tre approcci, Massimo Blanco avanza l’ipotesi che l’opera mallarméana non è affatto avulsa e lontana da ogni riferimento all’ambito del vissuto, così come sarebbe errato limitarsi a tradurre i testi di Mallarmé alla luce dei suoi traumi affettivi, senza tener conto di quanto il poeta francese sublimi e ripensi le proprie esperienze grazie allo strumento della mitologia – ben conosciuta da Mallarmé come si evince dalla traduzione a adattamento in francese del manuale di George William Cox.

Per costruire il proprio percorso l’autore assume come lente d’ingrandimento due testi incompiuti: il Livre e il Dossier du Faune. Del Livre Mallarmé ha lasciato solo alcune note di difficile lettura. Nelle intenzioni di Mallarmé l’opera doveva fornire – scrive il poeta in una lettera a Verlaine del 1885 – una spiegazione orfica della Terra. «L’opera doveva essere una sorta di allegoria della natura, si prefiggeva una scopo didascalico» (p. 3). Se nella cosmogonia orfica, alternativa a quella esiodea, la natura si muove all’interno di processi ciclici, di alternanza, di armonia dei contrari, nelle note del Livre, la ciclicità si scontra però con i lutti familiari di Mallarmé (la perdita della madre, della sorella e del figlio Anatole), trasformando il dramma circolare, narrabile, in un’oscillazione sul posto, in cui il tempo sembra dilatarsi fino al punto di sparire. Nei foglietti del Livre passato, presente e futuro quasi si confondono in un gioco di specchi che rende impossibile l’incontro, la narrazione, per preservare sul piano simbolico le persone amate. Infatti l’eroe del Livre, Edipo, «figlio del sole, si rifiuta di procedere lungo la sua orbita. Esso diventa una specie di “dissidente” orfico. Edipo sceglie insomma di fermarsi bloccando il ciclo solare, costringendo la madre, la notte, a procedere sola, a metterlo al mondo senza poterlo raccogliere al tramonto» (p 11). Così «il sole nega alla notte il ruolo futuro di madre, la necessità della loro unione, l’interdipendenza ciclica che li caratterizza. In questo modo, si conferma l’impossibilità di essere partorito da una morta. Rovesciando i termini, la negazione del ruolo esprime semplicemente l’assenza fisica della madre. La defunta non può svolgere il proprio ruolo di madre. Il figlio, negandole il ruolo che le spetta, rimuove anche la consapevolezza che la madre è morta (…) assume la responsabilità dell’assenza della madre» (p. 12). Mallarmé stravolge le coordinate temporali e narrative: si nega il ruolo della madre e si assume la sua assenza non come esito della morte, ma come derivante dalla scelta dell’eroe Edipo. L’assenza dell’incontro madre-figlio non deriva allora dal riconoscimento del lutto, quanto da una decisione che conserva, nell’erranza senza fine, il simulacro di una presenza. Rinunciando alla narrazione e al tempo, Mallarmé mantiene infatti delle virtualità, senza dubbio impossibili e irrealizzabili, eppure generatrici di un incompiuto che permette, paradossalmente, di andare oltre la morte e di negare l’assenza reale, sostituita da un’assenza simbolica, meno dolorosa perché aperta alla logica del non-finito e dunque a molteplici possibilità di riflessione.

Questa declinazione così originale e personale della mitologia è ben visibile anche nel Dossier du Faune. Il Fauno non solo non consuma il rapporto con le due ninfe, Ianthé e lane – che rinviano, secondo l’autore, alla madre e alla sorella –, ma dubita anche di averle viste e incontrate. Interroga il décor vegetale senza pervenire a degli indizi che possano attestare in modo certo la loro presenza. Lo scacco dell’unione tra le ninfe e il fauno genera nuovamente un’alterazione profonda del ciclo temporale: «nel Réveil il fauno si libera dai vincoli storici e temporali, aurora e tramonto, che farebbero di lui un polo relazionale» (p. 39). Iane duplica inoltre il dramma di Ianthé, in quanto sul piano del mito rappresenta «la “sostituta” della madre da cui un fauno-sole intende staccarsi per rimaner solo» (p. 39).  Iane (la sorella Maria) e Ianthé (la madre) mettono così in scena una nostalgia e un dolore che Mallarmé trasfigura ibridando i topoi della mitologia e il vissuto.

Con il Dossier du Faune si chiude la prima parte del saggio che costituisce lo strumento critico con cui l’autore legge le Poésies di Mallarmé. Nella seconda parte, Massimo Blanco si confronta con diversi  componimenti della produzione mallarmeana, ritrovando nei loro simboli e nelle loro complesse geometrie la figura di Edipo, fermo in un presente che vibra e resta sospeso tra passato e  futuro. Nell’oscillazione dell’Edipo solare il passato è infatti un “non-ancora” e il futuro un “non-più” che non deve ad-venire per impedire al passato di fissarsi indelebilmente e dolorosamente nella memoria.

L’autore analizza sia le più celebri poesie di Mallarmé sia tutti quei sonetti che sembrano avere una causa occasionale. In tutti i testi Massimo Blanco rintraccia con perizia la presenza dei lutti familiari di Mallarmé e quel complesso apparato di mitemi che diventano il filtro con cui il poeta francese riflette, ossia poetizza, gli eventi della propria esistenza. Poesia dopo poesia emerge un Mallarmé diverso, meno “oscuro”(Mauron), meno chiuso negli spazi eterei di una parola auto-referenziale, che non si limita all’“art pour l’art”. Si scorge, dietro gli apparenti enigmi poetici, l’uomo Mallarmé intento a dire suggerendo, a plasmare in immagini liriche le indicibili e spesso dolorose emozioni del vissuto.