CARLO SCOGNAMIGLIO, Il bene comune. Ripensare la politica con Kant e Rousseau

 

Carlo Scognamiglio, Il bene comune. Ripensare la politica con Kant e Rousseau, Lecce, Pensa Multimedia, 2016

Recensione di Nicoletta Capotosti

L'intento del libro è dichiarato dall'autore nella bellissima nota introduttiva. Analogamente al suo precedente Storia e Libertà. Quattro passi con Hegel e Tolstoj, Scognamiglio esprime subito al lettore la posizione teoretica dalla quale farà colloquiare gli autori, questa volta Rousseau e Kant, lasciando anche intravedere - «come piace fare agli autori anglosassoni» (Storia e Libertà. Quattro passi con Hegel e Tolstoj , Pensa Multimedia, 2013 p.10) - gli esiti del dialogo.

Come lì non si trattava propriamente di una passeggiata, questa non è certo una chiacchierata: nonostante il taglio espressamente didattico, seppure non divulgativo, dell'intero progetto editoriale che ha dato vita alla collana (diretta da Franca Papa), in questo nuovo scritto, dal titolo Il bene comune. Ripensare la politica con Kant e Rousseau, l'autore non rinuncia neanche per un attimo alla complessità dei testi indagati, inseriti in un confronto serratissimo su alcune tra le più importanti categorie della politica.

Lo scopo del lavoro è quello di «mostrare come nel fondo del discorso politico in quanto tale non possano non svolgersi ideali etici, e come la scelta della partecipazione politica definisca già un'intenzione morale. [...]» Esso si svolge «nel desiderio di riempire di valenza etica la politica in quanto tale, svincolandola da un'idea tutta funzionalistica dell'economico e riportandola alle proprie responsabilità dialogiche, razionali e pacifiche» (p.10)

La selezione degli autori ha tra i suoi obiettivi principali quello di riaprire la questione relativa a come l'Illuminismo avrebbe operato una separazione tra dimensione etica e amministrazione degli affari pubblici: rintracciare la negazione di tale separazione proprio nei due massimi esponenti di quel movimento culturale (peraltro molto distanti tra loro su alcuni aspetti) dischiude la speranza - questo il senso complessivo dello scritto - di ripensare la politica alla luce di una sua indissolubile congiunzione con la dimensione etica. Circoscrivendo l’ambito di indagine e mettendo in crisi la tesi della divaricazione tra le due sfere, Scognamiglio annuncia di lasciare aperta una più ampia gamma di interrogativi pertinenti il presunto scarto incolmabile tra comunità occidentali e comunità islamiche che molti intellettuali contemporanei individuano nella distinzione, per le prime, e nell'intreccio, per le seconde, tra i piani etico, religioso e politico. Nel volume si omette quindi il problema del rapporto tra ambito religioso da un lato e ambiti etico e politico dall'altro, sebbene l’autore si chieda, in un fugace riferimento «lasciato sullo sfondo» (p.9), se l'interrogativo non sia retorico, se la laicità sia un orizzonte neutrale rispetto alla molteplicità dei riferimenti assiologici o se al contrario essa incarni un sistema di valori nell’istanza stessa dello Stato laico. Certo, anche in questo ultimo caso tutt’altro che ovvia sarebbe l’assimilabilità di quel sistema di valori a un immaginario religioso di tipo confessionale, di cui l’antropologia culturale sottolineerebbe aspetti, relativi alla funzione sociale, che non sembrano potersi riferire allo Stato laico.

L'analisi è costruita su diversi livelli prospettici: innanzitutto i singoli temi sono letti con attenzione al contesto delle opere (rousseauiane e kantiane). Queste risultano a loro volta inserite nel quadro della biografia intellettuale di chi le ha prodotte. Non mancano però riferimenti, anche ricercati, alle biografie dei due filosofi con espliciti tentativi di interpretarne alcuni tratti psicologici. Tale aspetto è probabilmente anch'esso funzionale a rafforzare la convinzione - di ispirazione tutta idealistica - che la vita privata e quindi la sfera delle scelte individuali ed esistenziali siano, per chi si affatichi nell'ardua ricerca della verità, coerenti con le istanze teoretiche tracciate nella propria opera filosofica. 

A rendere particolarmente avvincente - sia da un punto di vista metodologico che stilistico - la ricostruzione operata, è la notevole capacità di tenere insieme tutti questi elementi: Scognamiglio procede presentando, volta a volta, alcune categorie filosofiche fondanti il patto politico. Mostra in che modo Rousseau e Kant le affrontano e ne evidenzia anche le flessioni concettuali dovute all'evoluzione filosofica degli autori.

L'esposizione è effettivamente dialogica se non addirittura dialettica nel senso che, alle operazioni di decodifica, di contestualizzazione e di estrapolazione dei concetti (le quali sono finalizzate al confronto tra le prospettive kantiana e rousseauiana ma anche al ripensamento della politica contemporanea), si affianca una critica che ne indaga possibili contraddizioni o argomentazioni sottese.

Nonostante l'abilità dell'autore, la ricostruzione complessiva può risultare difficoltosa a chi non conosca bene i testi di Rousseau e Kant. Non va dimenticato che lo scritto è l'esito di un corso universitario dedicato alla lettura dei classici e improntato al modello laboratoriale; è quindi ovvio che alcuni dei passaggi teoretici che ne segnano il percorso richiederebbero - per chi non abbia dimestichezza con i temi ivi trattati e non abbia partecipato agli incontri che lo hanno ispirato - ulteriori precisazioni e rimandi, molti dei quali segnalati proprio da Scognamiglio.

Un esempio autorevole - per sottolineare una questione particolarmente spinosa nell'ambito della critica rousseauiana - è il libro di Mario Reale Le ragioni delle politica. J.J. Rousseau dal Discorso sull'ineguaglianza al Contratto: qui ci si addentra nel complicato e teoreticamente fragile passaggio dallo stato di natura alla società civile. Difficoltà note a Scognamiglio (p.36) il quale, però, nell'interpretare la filosofia di Rousseau non è mosso dalla «condivisione di un paradigma normativo, ma dell'ethos che la informa e la sostanzia, dai problemi che essa solleva. Problemi sempre attuali e mai eludibili, inerenti alla dimensione morale della cittadinanza repubblicana» (p.147).

Il saggio si compone di quattro capitoli. I primi due presentano alcuni tratti salienti delle biografie intellettuali rousseauiana e kantiana e, - acclimatando il lettore alla sensibilità complessiva di quelle produzioni - enucleano temi e nodi cruciali che preparano il terreno alla stesura degli altri due capitoli, dedicati più precipuamente al rapporto tra etica e politica.

L'autore adempie, senza alcuna pedanteria, al compito annunciato nell'introduzione: il legame tra la morale e la politica è, già nelle prime pagine del saggio, messo in stretta connessione con il valore e il significato che Rousseau e Kant assegnano alla ricerca filosofica.

Al fine di rafforzare questa chiave di lettura l'autore avanza alcune ipotesi interpretative anche audaci, come nel caso del romanzo epistolare La nuova Eloisa nel quale Scognamiglio rintraccia addirittura significati cifrati (p.33).

Nello spazio dedicato alla rousseauiana «ricerca di autenticità» e al ruolo che la biografia kantiana dedica all'«azione libera», Scognamiglio fa sorgere l'ostacolo dell'antropologia, vero nodo concettuale rispetto al quale i due grandi filosofi si trovano a prendere posizione. La mutazione antropologica che Rousseau individua come necessaria al passaggio dallo stato di natura alla società civile - pur inaugurando la transizione dalla logica della ragione strumentale a quella della ragione morale - denota un forte pessimismo da parte del ginevrino. «La prima umanità può suggerire un'idea di autosufficienza, semplicità nelle passioni, forza fisica [..]. Tuttavia la sua natura è associata da Rousseau anche a un intelletto limitato, a un contegno amorale, a un'inconsapevolezza che non gli dà merito della propria positività» (p.24). Ma non c'è salvezza neanche nella storia, la quale disegna un processo di degrado provocato dall'aumento delle diseguaglianze tra gli uomini (ibid.).

Tutta la prima produzione rousseauiana è caratterizzata da un certo pessimismo rispetto al quale l'affermazione che la suddetta mutazione antropologica sia generata da eventi casuali risulta del tutto irrilevante. Nemmeno la svolta che nel Contratto Sociale vede Rousseau impegnato nella rivisitazione della categoria di natura così come essa era pensata nei due Discorsi è in grado di ribaltare quel pessimismo; ad operare tale manovra sarà il teleologismo kantiano, con l'dea regolativa di pace perpetua (p. 63). È infatti all'interno di una prospettiva pacifista che Kant pensa l'umanità (p. 61).

Concludono questo saggio denso e complesso i capitoli dedicati alla natura del diritto e delle strutture di gestione del potere politico. Al centro della teoria rousseauiana l'autore pone la nozione di ‘volontà generale’ della quale viene fatta un'attenta analisi anche rapportata al complesso insieme di categorie quali: Stato, Sovrano, Potenza, Cittadini, Sudditi. Se la praticabilità della democrazia è complicata anche per Rousseau, Kant farà della questione sulla migliore forma di governo «una necessità imprescindibile della pacificazione tra i popoli» (p. 116). Seguendo questo presupposto, Scognamiglio analizza alcuni concetti centrali dell'opera La pace perpetua (cosmopolitismo, resistenza e rivoluzione) mostrando come Kant approdi al riconoscimento - da parte degli Stati - di dover istituire un diritto comune che necessariamente ricorra a una più forte disposizione morale.